di Annamaria BRACCINI, 10 Luglio 2025
«Mi pare che parlare della Dottrina sociale della Chiesa e di cattolicesimo associato presenti oggi aspetti problematici che ci sfidano e ci interrogano. Come mai l’associazionismo cattolico è affaticato e non manifesta l’attrattiva che vorremmo augurarci?». A porsi e a porre questi interrogativi ai molti partecipanti al simposio «Il Cattolicesimo associato nella Dottrina sociale della Chiesa da Leone XIII a Leone XIV», svoltosi presso l’Università Cattolica, è stato l’Arcivescovo nella prolusione dell’assise, promossa dal Movimento Cristiano dei Lavoratori (Mcl) e dalle Edizioni Traguardi sociali. A moderare gli interventi, aperti dal presidente provinciale di Mcl Milano Renato Pecchia, il presidente delle Edizioni Antonio Inchingoli che ha sottolineato l’importanza della consegna, avvenuta durante l’incontro, di quattro borse di studio del bando «Identità e storia del cattolicesimo in Italia», intrapreso sei mesi fa per premiare universitari impegnati in tesi sull’associazionismo cattolico in Italia, a cui hanno preso parte una cinquantina di giovani.
L’irrilevanza
«Nel contesto del declino dell’Occidente, la proposta della Dottrina sociale della Chiesa, che ha a cuore lo sviluppo integrale della persona, la sua dignità e la giustizia dei rapporti nella società, è come circondata da una silenziosa complicità nel disinteresse», dice subito monsignor Delpini facendo riferimento all’esempio definito «clamoroso» delle Settimane sociali dei Cattolici in Italia – l’ultima organizzata a Trieste lo scorso anno alla presenza del Papa e del Presidente della Repubblica e dedicata alla democrazia e alla partecipazione – «delle quali quasi non si è parlato».
Diverse le cause di tale disinteresse, secondo monsignor Delpini, tra le quali «l’incidenza pervasiva dell’individualismo e il sospetto dell’irrilevanza perché – ha proseguito -, i nostri contenuti non paiono interessare». Basti pensare al tema della pace «con le parole di papa Francesco e papa Leone che risuonano in un luogo, in un contesto, in un tempo in cui parlare di pace vuole dire una sciocchezza».
Torna, quindi, la domanda sul perché l’associazionismo non convinca più o, comunque, assai meno di un tempo. Anzitutto «per la retorica dell’ispirazione cristiana e la reticenza, nell’operosità quotidiana, per cui i criteri di comportamento sono quelli di tutti. Siamo insignificanti perché ci adeguiamo. Come essere attrattivi se siamo irriconoscibili?».
Poi, «il tema della memoria come commemorazione, con la celebrazione di un passato glorioso: una stucchevole autocelebrazione che ricorda la visita a un museo». Senza dimenticare i danni provocati «dalle divisioni interne», per cui, aggiunge l’Arcivescovo, «molte nostre iniziative sono mortificate dalla fatica di andare d’accordo».
Da qui il punto cruciale e conclusivo: la mancata comprensione che «l’associazionismo e la creazione di dinamiche sociali non sono motivati dalla sindrome dell’assedio, ma sono la risposta a una vocazione, perché siamo chiamati a essere una presenza significativa nella società in quanto cristiani, non per un’ideologia o un interesse autoreferenziale».
Le stagioni dell’associazionismo cattolico
«Nell’associazionismo cattolico abbiamo vissuto delle stagioni, da Leone XIII fino a oggi – spiega l’Arcivescovo -. La stagione iniziale, in cui si è permesso di associarsi. Di fronte a un mondo cattolico quasi escluso dalla politica e a una rivoluzione industriale aggressiva che creava condizioni di vita difficili, il Pontefice della Rerum Novarum dice che la presenza dei cristiani deve essere nella società: pensiamo a Toniolo e al movimento di quei tempi. Poi, dopo la seconda guerra mondiale, la stagione della chiamata ad associarsi, in cui i cattolici sentono il dovere di essere presenti in politica, nel sindacato, nell’educazione e nella formazione, nell’assistenza dei lavoratori. Una terza stagione, quella degli anni del ’68, è la stagione della crisi, con le associazioni cattoliche che si confrontano con una prospettiva di contrasto al capitalismo e con problematiche sociali che paiono porre un’alternativa tra essere fedeli alla Chiesa o alla storia». Il richiamo è alla nota crisi delle Acli, mentre «Mcl nasce proprio come movimento di contrasto a chi voleva scostarsi dalla gerarchie e dal Magistero».
«L’ultima stagione è quella che stiamo vivendo: la stagione dell’appello alla fiducia e alla speranza, dove, più che sui numeri delle adesioni, dobbiamo lavorare per l’incisività della testimonianza, coltivando speranza per seminare speranza».